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Taser, arresto alla George Floyd, morte: sequenza all’americana a Pescara

 

FONTE:vocididentro.it

 

Un corpo a terra viene trattato come un mero dettaglio operativo. In quel corpo si misura la tenuta di uno Stato di diritto. Il decreto-legge “Sicurezza” è risposta pedestre e insensibile ai disagi che scavano la società come un tumore; di fatto il farmaco è parimenti cancerogeno, forse perché il rimedio deve per forza essere peggiore del male, secondo un disegno che conduce direttamente a uno stato di polizia.

 

Un giorno, forse, una verità giudiziaria calerà il sipario sulla vicenda della morte a Pescara di Riccardo Zappone. Ma nessuna sentenza potrà mai sviscerare il contesto culturale in cui i fatti sono avvenuti: la cronaca rimarrà per sempre sospesa in un eterno presente irrisolto e l’inquietudine per la certezza mancata lascerà tutto aperto a beneficio di dibattiti da bar che vedranno scendere in campo i fautori di legge e ordine senza avvertenze e postille contrapposti agli obiettori tout court della violenza, tanto più quando questa emana dallo Stato.

La storia è nota: uscito malconcio da una rissa in un’officina meccanica dopo un diverbio con il titolare e due familiari di questi, viene immobilizzato dalla polizia e muore in ospedale, ma dopo essere stato portato in Questura dove era arrivato in pessime condizioni. L’ambulanza viene però richiesta per medicare una sanguinante ferita alla testa.

Si è conclusa così, a trent’anni, la vita di Riccardo Zappone. Era la mattina del 3 giugno scorso, lo scenario strada Piana nel quartiere San Donato, lo stesso in cui sorge il carcere di Pescara. Il caso del giovane, che abitava nella vicina San Giovanni Teatino, è stato coperto con una certa ampiezza dalla cronaca locale, spinto dalla presenza della controversa pistola elettrica, il taser, che gli agenti avevano usato per sparare due scariche. Secondo alcune fonti, Zappone aveva assunto cocaina prima delle sue ultime ore in questo mondo.

zappone floydIl riserbo che di solito scatta dopo la morte di una persona passata nella custodia delle forze dell’ordine salta praticamente subito: l’autopsia del medico legale esclude senza mezzi termini la pistola elettrica dalle cause del decesso poiché sarebbe stato un trauma toracico ad aver levato il respiro a Zappone. Alcuni fotogrammi di un video girato col telefono cellulare da una passante ritraggono uno dei tre agenti con un ginocchio sul petto o sulla schiena (la qualità del video non aiuta a capire) del giovane che si dimenava per non essere ammanettato. A questo punto sembra, ma le immagini ancora non sono chiare, che venga azionata la pistola elettrica per la seconda volta. Questo caso sprigiona violenza in ogni fase dei fatti. Dalla rissa nell’officina fino all’intervento dei tutori dell’ordine, alla scelta di condurre in ufficio anziché all’ospedale un uomo ferito nel corso di una colluttazione, sottoposto per lunghi minuti a stress da immobilizzazione con il contorno di scariche elettriche e per giunta sotto l’effetto di droga.

In questo tragico episodio si respira a pieni polmoni la confusione tra ordine e disordine nel ripristino della quiete privata e pubblica, nell’officina della rissa quanto in strada. La distinzione è scomparsa giacché i mezzi sono identici: violenza preventiva in fiduciosa attesa di una verità posteriore e postdatata; postuma, in questo caso. La Giustizia non allontanerà mai il sospetto che la forma è ormai divenuta consapevole sostanza: a scagionarla provvederà in automatico il proclamato obiettivo della restaurazione della norma da ottenere con procedure che ancorché sospette devono convincere tutti sulla sua valenza di Bene assoluto e indiscutibile.

L’atmosfera della vicenda è resa tossica dalla importazione acritica – e per questo entusiastica, presso molti – di costumi di polizia metabolizzati da oltreoceano dopo una promozione martellante operata dalla propaganda cinematografica, delle “serie televisive” e dai media che ci porgono notizie dagli Stati Uniti. La morte lenta e violenta di George Floyd ora non è l’eccezione, ma la regola assorbita a rilascio lento dalle nostre menti. Il circo della violenza a fini di Bene rischiava di perdere il suo mordente se somministrato, sempre più stancamente con un noioso deja vue, via satellite: è invece impareggiabile il gusto di vederlo finalmente replicato dietro l’angolo di casa nostra in una attesa, sebbene più casereccia e provinciale, riedizione a misura d’italiano. Un essere umano che resiste non va giammai circondato e arrestato in piedi dopo una baruffa, ma messo a terra e schiacciato fino alla passività che può subentrare anche con la morte. Un atto intermedio e di per sé poco interessante come è l’arresto viene così dilatato in una umiliazione pre-giudiziaria a spettacolare gratificazione della platea plaudente.

Nella panoplia della nuova polizia non poteva mancare la pistola elettrica. I segni della nuova età a stelle e strisce della performance poliziottesca nazionale devono essere visibili, così come le uniformi di ordinanza di una volta, uguali pressoché per tutti gli agenti in servizio, dagli uffici alla strada, lasciano ora il posto ad accessori specializzati e intimidanti come stivaloni anfibi da guerra e baschi da corpi speciali in luogo dei cappelli con visiera. E la tuta mimetica si avvicina a grandi passi dall’orizzonte. Ora l’agente non lavora più in qualità di pacificatore tra i suoi concittadini, ma scende in battaglia su uno scenario brulicante di nemici che non esiteranno a muovergli guerra guerreggiata. I segni alzano sempre più l’asticella dello scontro violento, di tutte le forze in campo.

A nulla è servita l’esperienza fallimentare della Gran Bretagna, dove l’aggiunta della pistola al tradizionale e iconico manganello, decisa per contrastare gli atti di terrorismo nelle grandi città ma poi estesa a tutti i posti di polizia in ogni angolo della nazione, ha avuto l’effetto di decuplicare le sfide violente, fai-da-te e individuali, alle forze dell’ordine.

La militarizzazione di tutti i corpi di polizia, smantellata per legge a più riprese a partire dagli anni Settanta per chiudere la stagione rosso sangue delle truppe di Scelba, ritorna prepotente sotto altre spoglie anche con la progressiva scomparsa dei vigili urbani, una volta impiegati comunali in divisa addetti alle notifiche di atti e alle multe per divieto di sosta. Al loro posto si è materializzata la “polizia locale” con funzioni giudiziarie sotto coordinamento nazionale, una filiazione per partenogenesi politica che incrementa uomini e mezzi per militarizzare ulteriormente i nostri territori già primi in Europa per densità di divise e uniformi.

La stagione attuale, con un governo di destra in sella, è quanto mai prima propizia per il cortocircuito permanente tra finzione cinetelevisiva e realtà della cronaca. Il decreto-legge “Sicurezza” è risposta pedestre e insensibile ai disagi che scavano la società come un tumore; di fatto il farmaco è parimenti cancerogeno, forse perché il rimedio deve per forza essere peggiore del male, secondo un disegno che conduce direttamente a uno stato di polizia.

 

Francesco Blasi