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Legge stadi: "solo" un favore ai costruttori?

 

FONTE: Radiosei

 

Viva il Milan e viva l’Inter, viva l’Atalanta e viva la Sampdoria, viva il Palermo e viva la Salernitana e insomma viva tutti: ma perché costruire uno stadio dovrebbe essere più facile che tirar su una scuola, una caserma dei pompieri o un ospedale?
Te lo chiedi leggendo la nuova legge che vorrebbe dare un’accelerata a tutti i nuovi impianti sportivi che abbiano in allegato ipermercati, ristoranti, condomini… Legge votata in mezz’ora, grazie a una tregua-lampo nella rissa tra i partiti, da un’ammucchiata mai vista. Tema: possibile che un Parlamento capace di rifiutare la corsia preferenziale alla legge sui bilanci dei partiti mentre si consumava lo scandalo dei rimborsi elettorali gestiti dai tesorieri della Margherita Luigi Lusi e della Lega Francesco Belsito, non l’abbia invece negata a un provvedimento come questo, approvato fulmineamente in 30 minuti netti dalle 13.55 alle 14.25 di giovedì 12 luglio, in «sede legislativa» da una commissione di 44 deputati, senza passare per l’aula? Seconda domanda: perché se n’è occupata la Commissione cultura, scienza e istruzione invece di quelle che hanno a che fare con l’urbanistica o i lavori pubblici? Perché ha competenza sullo sport? Ma «che c’azzecca», per dirla in «dipietrese», con la costruzione di questi trans-stadi-ipermercati-hotel? Ma qui proprio il caso dipietrista pone la terza domanda: come mai, nel bel mezzo di una guerra termonucleare contro tutto e tutti, la stessa Idv s’è associata al coro degli entusiasti della nuova norma? Tutti, l’hanno votata. O quasi: la sola Luisa Capitanio Santolini, a nome dell’Udc, ha votato contro: era delusa che il testo, frutto «del lavoro condiviso», non fosse «meditato e discusso ulteriormente». Gli altri, tutti insieme appassionatamente. La lettura del provvedimento è molto istruttiva fin dal titolo: «Disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi anche a sostegno della candidatura dell’Italia a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale». Messa così, sembrerebbe il via libera a uno sforzo per costruire nuovi «Maracanà» o nuovi «Santiago Bernabeu». Insomma: tre o quattro spettacolari strutture in grado di farci fare un figurone planetario. No: per beneficiare della «semplificazione e dell’accelerazione delle procedure amministrative» non serviranno più neppure i limiti previsti dalla versione uscita dal Senato: almeno 10 mila posti a sedere allo scoperto e 7.500 al coperto. Nella nuova stesura ne basteranno rispettivamente 7.500 e 4.000. Col risultato, tremano gli ambientalisti, che la soglia si è abbassata al punto di invogliare alla costruzione di stadi e palazzetti «ibridi», cioè affiancati da ipermercati e hotel e sale gioco e beauty center in deroga ai piani urbanistici, anche nelle cittadine di provincia. Che certo non punteranno mai a ospitare le Olimpiadi o gli Europei. Novità: la società sportiva che realizza l’impianto dev’essere riconosciuta dal Coni. Che si va ad aggiungere alla miriade di enti e istituzioni che hanno competenza sulle opere pubbliche. Fin qui, direte, è roba di sport. Vero. Ma tutto fa pensare che la «ciccia», quella vera, non sia negli impianti. Ma in quel comma, il numero 2 dell’articolo 4, più insidioso. Che recita: «Il progetto per la realizzazione di complessi multifunzionali può prevedere ambiti da destinare ad attività residenziali, direzionali, turistico-ricettive e commerciali». Poche parole, ma tali da far sospettare a Legambiente, come si legge nel dossier elaborato con l’Istituto nazionale di Urbanistica e il Consiglio nazionale degli Architetti, che «questo provvedimento non è pensato per le squadre di calcio ma per chi vuole realizzare speculazioni edilizie. Perché altrimenti prevedere che si possano realizzare case e alberghi, centri commerciali e uffici? E senza neanche una scadenza legata a un avvenimento sportivo, per cui varrà per sempre come procedura speciale, permettendo in pochi mesi di rendere edificabili terreni agricoli e persino, con alcune forzature, aree vincolate»! Assurdo, accusa il dossier: «Del resto l’unico grande stadio realizzato in Italia in questi anni, lo Juventus Stadium di Torino, non ha avuto bisogno di procedure speciali, né di essere finanziato dalla costruzione di case e alberghi». Qui no, qui «la vera invenzione è nella formula “complessi multifunzionali” definiti come “complesso di opere comprendente ogni altro insediamento edilizio ritenuto necessario e inscindibile purché congruo e proporzionato ai fini del complessivo equilibrio economico e finanziario”». Parole così generiche da comprendere e consentire tutto. Le procedure, accusa Legambiente, «sono davvero speciali: si presenta uno studio di fattibilità finanziario e di impatto ambientale, entro 90 giorni la giunta comunale si esprime, convoca una conferenza di servizi per le varianti ai piani vigenti e l’approvazione del progetto da concludersi entro 180 giorni, e poi dopo l’approvazione del consiglio comunale (entro 30 giorni), si può partire con i lavori». Evviva la velocità: ma i rischi? Un solo caso tra i tanti ricordati dal dossier: l’area scelta dalla Lazio, 600 ettari e su cui realizzare 2milioni di metri cubi, «si trova intorno al km 9,4 della via Tiberina in area di esondazione del Tevere vincolata dal punto di vista idrogeologico ed archeologico». Un pasticcio. Che spacca anche i partiti. A partire dal Pd. Basti leggere le dichiarazioni di fuoco, dopo il via libera della legge alla Camera (adesso deve tornare in Senato ma stavolta dovrà passare per l’aula) di Ermete Realacci o di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, secondo i quali è «una nuova legge-porcellum. Tagliata su misura sugli appetiti speculativi di pochi presidenti di società di calcio. Gli stadi sono solo un pretesto, la vera intenzione è realizzare grandi volumetrie commerciali, residenziali, direzionali fuori dalle previsioni e dai limiti dei piani regolatori». Rispondano anche i tifosi: ne vale la pena?