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DAVIDE LIBERO











Il populismo nel calcio è persino peggiore del populismo in politica

 

FONTE:il dubbio

 

La polemica sulla Super League. Proprietà straniere, diritti Tv, interessi privati: Il gioco del calcio è già cambiato da anni

 

Quante discussioni e lacerazioni, ci saremmo potuti evitare: la fede contro la laicità, la storia contro la filosofia. Le radici europee stanno nella civiltà giudaico- cristiana, in quella greco- romana o nei valori dell’Illuminismo? Alla fine, non se n’è fatto niente – d’altronde della stessa Costituzione europea non se n’è fatto niente. Abbiamo un Trattato però, quello di Lisbona.

E lì, nel suo Preambolo, nella sua Grundnorme, andrebbe inserito il vero fondamento costitutivo europeo: una palla dietro la quale corrono ventidue uomini in mutande, undici di un colore e undici di un altro.

Dal brexiter Bo- Jo che ha stracciato con determinazione ogni patto con Bruxelles all’ultra- sovranista Orbàn che mette i fili spinati elettrificati alle frontiere, passando per il liberista Macron e per “l’uomo delle banche” Draghi, insomma tutto il ventaglio politico immaginabile, l’Europa politica tutta, come un sol uomo, dice no alla Super- Lega di Florentino Pérez, presidente del Real Madrid, in fondo solo una squadra di calcio; ma che ha ottenuto quello che né le crisi umanitarie dei migranti né le guerre ai confini erano riuscite a ottenere. Niente Super- Lega, dodici squadre le top del top che si fanno un campionato tutto per conto loro, incontri settimanali e ciao a tutti.

Dice no l’emiro del Quatar Tamim bin Hamad al- Thani che detiene il Paris Saint- Germain, mentre invece dice sì il cugino emiratino Mansur bin Zayd Al Nahyan che ha la maggioranza di proprietà del Manchester City, proprio come dice sì l’oligarca russo Roman Abramovich, proprietario del Chelsea. Il gruppo Suning per l’Inter e il fondo Elliott per il Milan aderiscono – ma cinesi e americani, si sa, sono globali. Anche tutti europei – emiri, oligarchi e fondi sovrani e privati – se serve.

I tedeschi per ora stanno a guardare, intrappolati, come sempre, nel dilemma di Thomas Mann: la Germania vuole essere europea o vuole un’Europa tedesca? Che ora si sciorina così: Bayern Monaco e Borussia Dortmund vogliono una Super- Lega europea a trazione tedesca o vogliono essere europei?

Dietro tutta l’operazione c’è JP Morgan, la più grande banca al mondo e una delle Big Four americane, peraltro da sempre vicina al Manchester United, ma che qui interviene con altre banche d’affari: finanzieranno loro tutta l’operazione. I dodici ( o quindici) club «riceveranno complessivamente 3,5 miliardi di euro per supportare i loro piani di investimento infrastrutturale e per fronteggiare l’impatto della pandemia». Secondo il «Financial Times», si tratterà di un prestito a lungo termine ( 23 anni) con tasso del 2- 3%. Ciascun club fondatore dovrebbe ricevere tra 200 e 300 milioni, che fanno gola, eccome, anche se non potranno essere spesi per ingaggi e calciomercato. È questo il punto: i club stratosferici stanno in grave crisi finanziaria, per via della pandemia.

Quanta retorica mielosa in questi giorni – dalla favola del Leicester che vinse la Premier League del 2016, sorprendendo tutti, ma dietro il cui “miracolo” c’era l’impronunciabile nome del thailandese Vichai Srivaddhanaprabha, re dei duty- free aeroportuali, scomparso in un incidente nel 2018; a ritroso a quella del Cagliari di Gigi Riva, Rombo- di- tuono. «È la vittoria del censo sul merito» – si è tronituonato qui e là. Ma JP Morgan, l’irruzione del denaro nel calcio, non è la novità: l’Arsenal è di proprietà del miliardario e imprenditore sportivo statunitense Stan Kroenke che ne prese il pieno controllo nel 2018, rilevando la quota del rivale russo Alisher Usmanov; il Liverpool è di proprietà del Fenway Sports Group dal 2010 dopo un accordo da 300 milioni di sterline; il Manchester United è stato acquistato dalla famiglia americana Glazer per 790 milioni di sterline nel 2005 e quotato alla Borsa di New York dal 2012; il Tottenham è della ENIC International Limited, di proprietà del miliardario self- made Joseph Lewis; degli altri ho già detto. Certo, Real, Barcelona e Bayern sono anche di proprietà dei loro tifosi, con un sistema di affiliazioni – ma lo “scandalo” dove sarebbe ora? Nella secessione, si dice, la “secessione dei ricchi”. Vero, ma qui parliamo di business, mica di patrie – e se la Uefa dalle licenze delle Coppe europee prende 3,3 miliardi, deve poi dividerli con le squadre partecipanti a Champions e Europa League, tante: i “secessionisti” pensano che il calcio europeo, anzi il “loro” calcio valga molto di più, e che non debbano dividerne i guadagni.

La Uefa minaccia sfracelli e sanzioni, ma si capisce: “spariscono” miliardi di euro. Le Leghe nazionali minacciano di escludere i giocatori della Super- Lega dalle loro selezioni nazionali: già, poi, se togli i giocatori di Real e Barcelona, la nazionale spagnola, la Roja, con chi la fai, con i calciatori delle Isole Canarie?

Un improvviso rigurgito di nazionalismo pallonaro ha attraversato l’Europa, anzi più propriamente: di “populismo pallonaro”, che qui le “nazioni” hanno solo le bandiere dei club. Contro la globalizzazione finanziaria, scende in campo il populismo pallonaro. Rivalità antiche quanto l’uomo tra tifoserie e squadre – spesso, ahimè, motivo di orribili episodi di cronaca – improvvisamente dismesse e tutti affratellati contro l’orribile denaro che distrugge “i sogni” dei tifosi. Ma di quali “sogni” parliamo? Non siamo già tutti “clienti” delle televisioni? La nostra “cittadinanza europea”, l’unica peraltro davvero in vigore, ovvero la fruizione delle partite di Champions, non passa già attraverso un abbonamento?

Certo, è la “provincia” che viene abbandonata, e tutta la “produzione del calcio”, la filiera del valore del pallone si concentra in alcune aree e dismette interi territori. Ma non è questo che sta propriamente già avvenendo nel mondo reale? Non ci sono intere regioni europee che sono ormai ai margini, mentre la ricchezza si va concentrando in alcune? Fa impressione pensare che Arsenal, Tottenham e Chelsea sono poi tre quartieri di Londra, un po’ come il Chievo del signor Campedelli è un quartiere di Verona: ma, appunto – sta qui la differenza: le tre inglesi sono ormai “entità globali”, il Chievo è una squadra di provincia: nessun Messi, nessun Ronaldo ci giocherà mai.

Io non so se questa Super- Lega si farà, e quando si farà: le resistenze dei tifosi ci sono, ma non credo che avranno peso, i tifosi seguono, come le truppe e le vettovaglie. Due campionati quasi azzerati, per la pandemia, dopo anni di follie finanziarie fatte per accaparrarsi il cartellino di questo o quel giocatore, pesano come macigni – c’è una crisi finanziaria acuta dei club e in qualche modo bisogna far ripartire la “formazione di valore”.

Per chi ama il calcio, “il gioco più bello del mondo”, si vedrà.

 

Lanfranco Caminiti