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Minniti dà i numeri: un’analisi di alcuni dati del Ministero degli Interni sul “Daspo Urbano”

 

FONTE: NON SOLO MARANGE

 

Un’analisi di alcuni dati forniti dal Ministero degli Interni sui provvedimenti emessi ai sensi del DL sulla sicurezza urbana

 

L’ultimo giorno del 2017 su varie testate giornalistiche italiane veniva pubblicato un articolo, con lo stesso testo e titolo o con piccole variazioni, relativo al “bilancio” fatto dal Viminale sulle attività svolte nel 2017, che conteneva, fra le altre cose, uno scarno passaggio dedicato alla “sicurezza nelle città” (1 2 3 ) in cui si affermava che il “Daspo urbano” fosse stato adottato in un totale di 735 casi. Tre mesi prima, il Ministro degli Interni aveva dichiarato, durante una sua audizione in Parlamento, che il numero di ordini di allontanamento superava 700 e 80 erano stati i “Daspo urbani” (4).
I dati sull’applicazione del Decreto Legge 14/2017 (5 6), la nuova legge sulla sicurezza urbana a firmata Minniti, resi pubblici in tali occasioni, apparivano però estremamente limitati e alquanto imprecisi. Una prima analisi di come si stia concretamente applicando tale normativa si è delineata attraverso una ricerca indipendente a mezzo stampa pubblicata dal blog del Collettivo di mutuo soccorso e cassa di resistenza barese “Non Solo Marange” (7) e sulla webzine “dinamoPRESS” (8)
Per ovviare alla mancanza di dati ufficiali sufficientemente dettagliati è stata inviata una istanza di “accesso civico generalizzo” al Ministero dell’Interno con richiesta di fornire informazioni sui provvedimenti ( “Ordine di allontanamento da particolari luoghi della città” [art. 9], “divieto di accesso in specifiche aree urbane” [art. 10] e “divieto di accesso in determinati locali pubblici o nelle loro immediate vicinanze” [art. 13] ) emessi nel corso del 2017, dalle Questure e dalle autorità di polizia statali e locali. Tali provvedimenti, pur perseguendo anche comportamenti che non sono qualificabili come reato (pensiamo alla questua, al commercio ambulante con licenza ma fuori da luoghi autorizzati, al dormire o bere per strada) sono lesivi delle libertà personali quali quelle di movimento e di accessibilità e fruizione degli spazi pubblici. Il diritto di accesso ai dati detenuti dalle pubbliche amministrazioni, con alcune limitazioni, è sancito dal “Decreto trasparenza” o “FOIA italiano” (9), ma non essendo previste reali sanzioni per le amministrazioni inadempienti, le stesse spesso non forniscono i dati e le informazioni in loro possesso o non rispondono nei termini previsti.
I dati ricevuti dal Ministero dell’Interno
Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno ha tuttavia inviato una serie di dati organizzati in un unico foglio di lavoro senza però fornire la documentazione di supporto utile alla decodifica e all’interpretazione ufficiale delle informazioni presenti.
La tabella, composta da 2331 record, risulta comunque strutturata in sette campi che contengono informazioni sulla data (con un arco temporale che va dal 24/02/2017 al 31/12/2017), la tipologia e lo stato del provvedimento, sull’organo di polizia (i valori presenti sono: “carabinieri”, “guardia di finanza”, “polizia di stato” e “enti vari”, quest’ultimo riferito principalmente agli uffici di polizia locale) che l’ha emesso o richiesto, con relativo ufficio e provincia di competenza, e un codice univoco che dovrebbe essere riferito al soggetto contro il quale è stato emesso; non è invece presente alcuna informazione in merito alle motivazioni che hanno portato all’emissione di ogni provvedimento, né dati relativi al soggetto destinatario dello stesso (età, residenza, cittadinanza, …).
Il campo relativo al tipo di provvedimento contiene esclusivamente i seguenti valori: “ordine di allontanamento art.9 co.1 dl 14/2017“, “divieto accesso aree urbane art.10 co.2 dl.14/2017” e “divieto accesso esercizi pubblici ar.13 dl.14/2017”.
Molto probabilmente, quindi, non vi sono elencati (non è chiaro se per scelta di non diffonderli o perché il Ministero non ne ha contezza) tutti quei provvedimenti ugualmente lesivi delle libertà personali ma emessi in base ad altre norme, pur se introdotte dallo stesso “Decreto Minniti”: in particolare quelli che vengono comminati dagli agenti della polizia locale nei Comuni, soprattutto del Nord Italia, i cui sindaci hanno emanato apposite ordinanze a tutela del “del decoro e della vivibilità urbana”.
Nello specifico, le ordinanze a tutela del “del decoro e della vivibilità urbana” sono previste dagli articoli 50 e 54 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000 n. 267 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.” (12) cosi come modificate dall’articolo 8 del “Decreto Minniti” del 2017. Già in precedenza, con il c.d. “Pacchetto sicurezza” (DL 92/2008 – L 125/ 2008) varato dal ministro Roberto Maroni (13) durante il governo Berlusconi IV, era stata avviata una lunga stagione di ordinanze dei sindaci che vietavano e punivano i più svariati comportamenti: solo nel primo anno di applicazione ne furono emanate circa 800 [vedi il rapporto “Oltre le ordinanze. I sindaci e la sicurezza urbana”, Cittalia-ANCI, settembre 2009 (14), e “Per una città sicura. Dalle ordinanze agli strumenti di pianificazione e regolamentazione della convivenza cittadina”, Cittalia-ANCI, febbraio 2012 (15), che ne censisce quasi altre 500 fino alla fine del 2010; vedi anche “Potere di ordinanza e sicurezza urbana: fondamento, applicazioni e profili critici dopo il decreto legge n. 14 del 2017”, Antonella Manzione, Federalismi.it, XV, 17, 13/09/2017 (16)].
Esemplare è il caso del Comune di Sesto San Giovanni (MI) sul cui territorio, secondo le notizie diffuse dalla stampa a fine novembre, “sono stati posti in essere 150 allontanamenti grazie alle ordinanze anti-accattonaggio, contro il commercio abusivo e contro i bivacchi” (17), dei quali però, non vi è alcuna traccia nei dati forniti dal Ministero.
È evidente che non si dispone ancora di dati esaustivi per poter valutare la portata e l’impatto delle norme sul decoro e la sicurezza urbana nel loro complesso; un quadro più completo potrà essere tracciato quando si potrà ottenere ulteriori informazioni dagli enti (i singoli Comuni e l’ANCI) che dovrebbero esserne in possesso (18).
Si è però fatto un passo avanti verso una migliore comprensione del fenomeno passando dal semplice dato reso pubblico di 735 casi di “Daspo urbano” indicati nella “velina” citata in premessa, ad un più consistente e dettagliato numero totale di provvedimenti, delle tre tipologie contemplate, pari a 2104. Tuttavia siamo ancora davanti a un dato parziale, poiché non considera i provvedimenti legati alle ordinanze, che sono nei fatti attive e applicate in moltissimi comuni, sopratutto nel nord della penisola.

ANALISI DEI DATI
Di questi 2104 provvedimenti, 1781 (quasi l’85%) sono ordini di allontanamento, 305 divieti di accesso in aree urbane e 18 divieti di accesso in esercizi pubblici.
L’andamento temporale, calcolato mensilmente, evidenzia un aumento quasi costane dei provvedimenti di divieto di accesso urbano emessi ogni mese nell’ultimo semestre del 2017 (+42%) e una diminuzione degli ordini di allontanamento emessi ogni mesi nell’ultimo trimestre. Dal punto di vista geografico, è possibile notare che il 64% degli ordini di allontanamento risultano essere stati emessi in Sicilia, Lazio e Campania, quasi tutti rispettivamente a Palermo, Roma e Napoli; circa il 10% in Veneto (più della metà a Venezia) e il 4% in Calabria (esclusivamente in provincia di Reggio Calabria).
Anche i divieti di accesso urbano risultano essere stati emessi soprattutto, nel 73% dei casi, in Lazio, Sicilia e Campania con numeri significativi anche in Lombardia (13%) ed Emilia Romagna (8%).
La durata nel tempo dei provvedimenti di divieto di accesso urbano risulta tipicamente inferiore ai 5 giorni (73%); sono relativamente frequenti quelli con durata di 2 mesi (11%) e di 3 mesi (7%), ma ce n’è anche un numero non indifferente che arriva ai 6 mesi (3%).
Per quanto riguarda gli organi di polizia che hanno emesso o richiesto i provvedimenti, risulta predominante la Polizia di Stato (61%), a cui seguono i Carabinieri (16%), le polizie locali ed altri enti (13%) e la Guardia di Finanza (10%).
Questi numeri però non dicono nulla sulle motivazioni, sulle soggettività perseguite, sul contesto nel quale si è scelto di applicare il provvedimento. Una casistica tutt’altro che secondaria, poiché l’unica che può permetterci di comprendere fino in fondo le possibili conseguenze di questa nuova misura. Con un’unica certezza, la guerra ai poveri è già cominciata.

 

Andrea Giudiceandrea