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Gabrielli, la storia di Genova 2001 va raccontata per intero

 

FONTE: il manifesto

 

Domenica scorsa Il Manifesto ha pubblicato una lettera di Franco Gabrielli, capo della polizia, riferita al G8 di Genova 2001, intitolata “Una storia da raccontare per intero”.

 

In risposta all'articolo «La credibilità della polizia è da ricostruire» di Lorenzo Guadagnucci

Gentile Direttore,
ho letto con attenzione l’articolo «La credibilità della polizia è da ricostruire» perché tocca uno degli aspetti che ritengo fondamentali nel rapporto tra Stato e cittadino. Quello della credibilità delle Istituzioni. La mia storia personale, ancor più professionale, ruota tutta intorno a questo principio. Se le Istituzioni non sono credibili, se i cittadini non si riconoscono nelle Strutture che li governano, non vi può essere alcun virtuoso rapporto tra essi. Ne ho fatto una sorta di mantra in tutte le mie esperienze professionali che hanno toccato gli aspetti della Sicurezza nelle sue molteplici accezioni. Da direttore dell’Agenzia di intelligence interna, a Capo del Dipartimento della protezione civile e, da ultimo, ora quale Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza. Ho espresso parole chiare e nette sulle responsabilità di quanto accadde nel corso del G8 di Genova. L’ho fatto in modo convinto, perché ho sempre ritenuto, per dirla con una iperbole, che non vada condannato chi dà la manganellata (o perlomeno non solo, se vi sono abusi), bensì chi ordina la carica. E queste parole le ho pronunciate, non come spesso accade nell’ambito ristretto di Uffici del Palazzo, per usare le parole del giornalista, bensì in pubblico e le ho anche consegnate alla carta stampata. Parole che avrei potuto evitare (da noi si dice che non è importante farsi amici, quanto evitare di farsi nemici) perché io a Genova non c’ero e non c’era nessuno dell’attuale vertice della Polizia di Stato. Ma poiché chi è a Capo di una struttura deve farsi carico anche del passato di essa, ho ritenuto necessario prendere le distanze una volta e per tutte da quella vicenda. E quelle parole non sono rimaste petizioni di principio. Molte delle persone condannate per quell’avvenimento sono ormai andate in pensione. Altre hanno abbandonato l’Amministrazione.Le restanti sono state reintegrate, così come prevede la legge, con mansioni proporzionate alle qualifiche ricoperte. Nessuna promozione è stata conferita. Nessun avanzamento in carriera. Nessun posto di prestigio o di responsabilità, anticamera per future progressioni. Nel frattempo, abbiamo percorso chilometri di strada. Abbiamo modificato i criteri di assunzione, formazione, aggiornamento, progressione in carriera. Tra le file dei nostri poliziotti, anche nelle qualifiche di base, ci sono percentuali di laureati in passato inimmaginabili. Abbiamo costituito anche un Ufficio Affari Interni, per il controllo del nostro personale. Insomma posso affermare, senza tema di essere smentito, che siamo migliori di quanto eravamo. Ed è per questo che tra le Istituzioni pubbliche, le forze di Polizia sono ai primi posti per indice di fiducia dei cittadini. Però la credibilità delle Istituzioni passa anche attraverso una rappresentazione veritiera del suo agire. Il continuare a rappresentare il G8 di Genova come una vicenda esclusivamente limitata alla Polizia mi pare profondamente ingiusto e riduttivo. A Genova non c’erano solo poliziotti. C’era tutto lo Stato, nelle sue molteplici articolazioni. Del resto la magistratura contabile ha condannato 28 persone, tra cui magistrati, medici e componenti di altre amministrazioni. Di essi solo 9 erano poliziotti (nessuno dei quali, tra l’altro, con compiti di responsabilità) e Bolzaneto, citato nell’articolo, lo ricordo a me stesso, non era una struttura sotto la direzione della Polizia di Stato. Noi, grazie anche ai mass media, il nostro processo per il superamento di quella vicenda lo abbiamo affrontato. I nostri poliziotti sono stati condannati ed hanno scontato interamente le pene irrogate. Forse è giunto il tempo per una stampa, attenta e consapevole, quale si è dimostrata nei nostri confronti, di affrontare quella pagina della nostra storia in tutta la sua complessità. Perché altrimenti sorge il sospetto che quella che vada ricostruita non è solo la credibilità della Polizia.

Franco Gabrielli

 

La replica di Giuliano Giuliano

Ho letto con interesse la lettera del capo della polizia: sì, Genova 2001 è proprio una storia da raccontare per intero, cominciando dal fatto più grave, l’omicidio di Carlo Giuliani. E allora non si può non cominciare dalla vergognosa archiviazione, fondata sull’imbroglio dei quattro inaffidabili periti del pm Silvio Franz (sparo per aria e deviazione del proiettile verso il basso), imbroglio smentito non dalle chiacchiere ma dal filmato che riprende la scena. Neanche una parola sull’insensata manovra di quel reparto di carabinieri, sulla responsabilità di chi li comandava, sulla imboscata costruita con una fuga che faceva seguito a una inutile quanto infida manovra contro un gruppetto di manifestanti inoffensivi. Neppure una minima valutazione sul mancato intervento di un intero reparto a favore della jeep (bloccata solo dall’imperizia, se non dalla scelta, di chi la guidava), nonostante il rapporto di forze fosse di cento carabinieri contro trenta manifestanti, che avevano inseguito il reparto. Sì, raccontiamola per intero la storia di Genova 2001. Valutiamo la cadenza dei tempi della giustizia e le differenze di valutazione da parte di chi è stato chiamato ad amministrarla. L’omicidio di Carlo viene archiviato, senza lo svolgimento di un processo quindi, nel maggio 2003. Si avviano invece i processi contro venticinque manifestanti, incredibilmente considerati i principali responsabili di quanto accaduto a Genova (presidiata da sedicimila appartenenti alle varie forze dell’ordine!), e anche quelli sulla Diaz e Bolzaneto. Le sentenze di primo grado colpiscono pesantemente i 25 manifestanti, mentre per arrivare a sentenze che affermino la responsabilità di alti dirigenti della polizia occorrerà attendere nel 2012 i responsi della Cassazione (a quanti consideravano l’operazione Diaz una “perquisizione legittima” la sentenza risponderà di atti che “hanno prodotto il degrado dell’onore dell’Italia nel mondo”). Ma in quel processo uno dei pm era Enrico Zucca, al quale rinnovo ancora una volta tutta la mia solidarietà. Viene accusato perché ha parlato di “torturatori”. Perché, solo per fare uno dei tanti esempi, non è considerabile una tortura manganellare ripetutamente in dodici un innocuo manifestante che scappando è inciampato ed è caduto per terra, come avviene in piazza Manin? Dico di più: è un atto da autentici delinquenti, intollerabile per chi, come me, ha partecipato alla fine degli anni settanta, insieme a tanti giovani poliziotti, alle lotte per ottenere che i poliziotti fossero considerati dei lavoratori, avessero diritto al sindacato, una autentica democratizzazione che liberasse la polizia dalla degradazione della “celere” scelbiana. Un atto che offende la “mia” polizia, per dirla come il compagno e coetaneo Arnaldo Cestaro, il primo a essere massacrato di botte alla Diaz, dove stava cercando di riposare. “Abusi”, per dirla con le parole del capo della polizia, che vanno sanzionati pesantemente. Condivido il rifiuto di Franco Gabrielli di “continuare a rappresentare il G8 di Genova come una vicenda esclusivamente limitata alla Polizia”. Certo, c’erano anche i carabinieri, o meglio alcuni reparti dell’Arma responsabili delle violenze e dei misfatti compiuti nella giornata di venerdì 20 luglio. Lo ha detto esplicitamente la parte obiettiva della magistratura genovese che si è occupata dei tragici fatti, quando ha parlato di “cariche violente, indiscriminate e ingiustificate”, di atteggiamenti inqualificabili che hanno provocato scontri durissimi protrattisi per ore. Comportamenti per altro ben presenti ad alti ufficiali presenti a Genova. In una telefonata arrivano a dire che “ci sono problemi a concedere queste forze” (stanno parlando dei paracadutisti), “perché se escono quelli non si sa che c…. succede”! Resta amara la considerazioni che questi giudizi non hanno prodotto non dico una condanna ma neppure un’ammonizione: i carabinieri sono impunibili a prescindere, anche quando uccidono, come nel caso di Carlo, e questo è sicuramente uno dei problemi della nostra debole democrazia. Grazie agli importanti ruoli ministeriali che gli furono affidati da Giuliano Amato e anche da Mario Monti, De Gennaro esercitò l’uso della promozione “a delinquere” degli alti gradi della polizia (Gratteri, Luperi, Calderozzi, Ciccimarra), che ebbero poi la condanna definitiva per i fatti Diaz (ricordo che l’atto più malvagio fu l’ordine dato a sottoposti di introdurre nella scuola due bombe molotov, che sarebbero servite a incriminare gli ospiti della scuola del reato di terrorismo). Ma a Gabrielli vorrei ricordare che anche recentemente una promozione mi ha lasciato perplesso. Adriano Lauro è il funzionario che accompagna il reparto dei cc in piazza Alimonda, dove è protagonista di due episodi allarmanti: prima si cimenta nel lancio di sassi contro i manifestanti, poi attribuisce la uccisione di Carlo a un manifestante, “con il tuo sasso… tu lo hai ucciso, pezzo di m….”, completando così l’indegna azione di un carabiniere che con una pietra ha spaccato la fronte di Carlo agonizzante.Lauro è oggi questore di Pesaro”.

 

Giuliano Giuliani