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Le crudeltà subite dai detenuti nel carcere di Sollicciano

 

FONTE: il dubbio

 

Per i presunti pestaggi a Sollicciano il Garante si è presentato come “persona offesa dal reato”, nominando come proprio legale l’avvocato Michele Passione

 

Per i presunti pestaggi avvenuti nel carcere di Sollicciano , uno commesso nel 2018 e l’altro nel 2020, nei confronti di due detenuti, il Garante nazionale delle persone private della libertà si è presentato come “persona offesa dal reato”, nominando come proprio legale l’avvocato Michele Passione del foro fiorentino. «Tale decisione – spiega il Garante -, ben lungi dal voler trarre conclusioni relativamente a ciò che la magistratura valuterà, costituisce un segno di garanzia per tutte le parti coinvolte e di rassicurazione dell’opinione pubblica circa l’esistenza di uno sguardo istituzionale esterno, attento a che nessun messaggio di impunità possa essere inviato, così come nessuna generalizzazione possa essere avanzata nei confronti di chi lavora all’interno di un contesto difficile».
Tuttavia quanto finora risulta dagli atti, il Garante sottolinea che tutto ciò richiede una riflessione attenta. Già a luglio il Garante nazionale ha incontrato i vertici delle diverse Forze di Polizia, tra cui anche il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, a seguito di gravi fatti emersi in alcune indagini che avevano coinvolto operatori delle diverse Forze. «Al centro di tali incontri – osserva sempre il collegio del Garante – è stata, sin da allora, la condivisione della necessità di rafforzare e diffondere una cultura che sappia tenere insieme l’essenziale funzione di repressione del reato e la scrupolosa tutela dei diritti fondamentali anche del suo autore. Proprio per questo occorre investire sulle condizioni di lavoro e sulla formazione di chi opera in tali contesti».

I presunti pestaggi a Sollicciano, sono 9 gli agenti del carcere raggiunti dalle misure cautelari

Ricordiamo che sono nove gli agenti raggiunti dalle misure cautelari perché avrebbero pestato due detenuti in momenti differenti nel carcere di Sollicciano. Uno nel 2018 e l’altro a maggio del 2020. Il caso del detenuto Mohamed è descritto nei minimi particolari. Si apprende dall’ordinanza del Gip che gli agenti prima lo minacciarono e successivamente avrebbero commesso «gravi e reiterati atti di violenza (posti in essere da ben sette uomini fisicamente e da una donna nelle qualità di istigatrice) contro un uomo solo inerme ultra cinquantenne e di costituzione esile, agendo con estrema crudeltà, atti che concentrano in un arco di tempo di circa un’ora». Lo avrebbero preso a schiaffi, a pugni, a calci fino a salire sopra la sua schiena oltre che tenendolo per le braccia in modo che non possa difendersi. Non solo. Risulta che gli indagati, in cella di isolamento, per giorni gli fecero tenere addosso i pantaloni bagnati di urina, senza minimamente pensare a salvaguardare la sua dignità e – si legge nell’ordinanza del Gip «al fine di farlo vergognare e di procurargli ulteriori umiliazioni». Tale circostanza è stata confermata da uno degli indagati durante un’intercettazione ambientale, dato che lo stesso dichiarava che il detenuto si era fatto la pipì addosso.

Mohamed punito per aver chiesto di telefonare ai parenti in Francia

Come se non bastasse, due degli agenti che avevano partecipato al presunto pestaggio di Sollicciano, sarebbero rientrati nella cella di isolamento e lo fecero spogliare e rimanere nudo davanti a loro per due o tre minuti, dicendogli anche «che gli riservano quel trattamento particolarmente umiliante proprio perché aveva voluto fare in precedenza “il duro”». Tutto questo – avvenuto Il 27 aprile del 2020 – non è accaduto perché il detenuto compì un gesto violento o abbassò la cerniera scagliandosi contro l’ispettrice. Tutti gli elementi raccolti dalle indagini conducono a far ritenere che Mohamed sia stato punito per aver chiesto di telefonare ai parenti in Francia e per aver reagito alle minacce dell’agente con una ingiuria. Per questo motivo i novi agenti indagati devono rispondere anche di falso ideologico in atto pubblico, perché avrebbero fatto passare gli abusi come resistenze e aggressioni sessuali da parte dei detenuti. Di fronte alle due denunce contrapposte, il direttore del carcere di Sollicciano fece acquisire le immagini delle telecamere che hanno confermato il racconto del detenuto. Da lì le indagini hanno ricostruito un altro episodio di violenza, avvenuto nel 2018, quando un detenuto italiano. Giorgio, denunciò la rottura di un timpano. Lui si era lamentato della mancata fruizione integrale dell’ora d’aria. A quel punto un agente tra i presenti l’avrebbe preso con un braccio dietro il collo e lo avrebbe stretto così forte da impedire di muoversi, respirare e parlare. Nel frattempo gli altri agenti lo avrebbero preso per le gambe e i polsi: a quel punto un altro agente gli avrebbe sferrato un pugno colpendolo con forza tra la mascella sinistra e la tempia. Non soddisfatti, lo avrebbero poi trascinato verso l’ufficio dell’ispettore e di nuovo sferrato pugni. Il detenuto, a quel punto, si sarebbe chinato in avanti coprendosi il volto con le mani. Lo avrebbero preso a ceffoni, fino a farlo cadere esausto per terra e ancora una volta altra scarica di calci e pugni alla testa. Poi lo presero e condotto in cella di isolamento. Il diario clinico è lapidario: tumefazioni sella guancia sinistra con ecchimosi sulla faccia e perforazione del timpano sinistro. Tutti e nove gli agenti sono accusati tortura e falso ideologico. Tre si trovano agli arresti domiciliari: l’ispettrice Elena Viligiardi coordinatrice del reparto penale, l’assistente Luciano Sarno e l’agente Patrizio Ponzo. Gli altri sei sono invece interdetti dalla professione per un anno. A coordinare le indagini è Christine Von Borries, pm della procura di Firenze.

 

Damiano Aliprandi