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I familiari di Stefano Frapporti non credono al suicidio "vogliamo verità"

 

"Una morte sospetta per le circostanze in cui è avvenuta, in carcere a poche ore dall'arresto". Così familiari e amici parlano della morte di Stefano Frapporti un operaio edile cinquantenne, deceduto lo scorso 21 luglio nel carcere di Rovereto, vicino Trento.
Occasione un incontro-dibattito svoltosi a Roma sul tema "legge sugli stupefacenti, carcere, violenze sui detenuti, archiviazioni: che fare?". Nel corso della tavola rotonda, coordinato dal consigliere provinciale Gianluca Peciola (Sel) e a cui hanno partecipato anche i genitori di Stefano Cucchi, Fabio Tittarelli, un amico di Frapporti, ricostruisce la vicenda: "Stefano, detto Cabana dagli amici viene fermato a Rovereto, una cittadina in provincia di Trento, da due carabinieri in borghese in quanto sospetto di detenere droga. Incensurato, sconosciuto alle forze dell'ordine, Stefano viene portato in caserma e perquisito, ma senza risultato. Tuttavia, secondo i verbali degli agenti, avrebbe spontaneamente confessato di avere un po' di fumo in casa. Perquisita l'abitazione, i carabinieri gli avrebbero trovato un quantitativo di hashish sufficiente ad arrestarlo e tradurlo nel carcere locale. Un paio di ore dopo viene trovato morto nella cella dove era stato rinchiuso".
"Ufficialmente mio fratello è morto impiccato, suicida nella cella, e il caso è stato archiviato - spiega la sorella Ida -. Non ci sono testimoni ma qualcosa di strano è accaduto, perché alle 7 di sera, dopo una giornata di 10 ore di lavoro Stefano stava passeggiando per le strade di Rovereto e prima di mezzanotte era morto. Nessuno ha indagato, nessuno ha fatto chiarezza. Io non credo più nella giustizia ma non mi arrendo: chiedo di fare luce".