NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

26 MARZO 2000

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

NOI DA NOVE ANNI CONOSCIAMO LA VERITA'!

laboratoridirepressione

SPEZIALELIBERO

DAVIDE LIBERO











Il taser e il soffocamento: “Mio figlio morto dopo l’intervento della polizia”

 

FONTE:Il Domani

 

La procura ha chiesto una seconda archiviazione per la morte di Igor Squeo. I consulenti della famiglia: “Schiacciato a terra, scomparsa la pistola elettrica”

 

Igor Squeo non è morto per overdose da cocaina. Ne sono convinti i familiari e ne sono convinti i medici che hanno redatto l’ultima relazione tecnica sulle cause del suo decesso. La storia risale al 12 giugno 2022 e riguarda un 33enne che morì per arresto cardiocircolatorio nel corso di un intervento di polizia nel suo appartamento di Milano. Sin dall’inizio il pm ha sposato la tesi dell’intossicazione da sostanza stupefacente e per questo ha chiesto l’archiviazione, a cui la legale della famiglia, Ilaria Urzini, ha fatto opposizione. Ora è arrivata una nuova richiesta di archiviazione, nonostante i molti punti che non tornano in questa storia.

Dalle testimonianze dei sanitari che differiscono da quelle degli agenti di polizia agli errori temporali contenuti nella ricostruzione dei consulenti del pm, fino all’uso del taser e alle numerose lesioni e fratture rinvenute sul corpo del ragazzo. “Igor Squeo è morto per insufficienza respiratoria causata dalla contenzione messa in atto dagli agenti di polizia”, denunciano i medici nella relazione.

Squeo aveva 33 anni e un trascorso tra l’Australia e Londra. Era tornato a Milano da poco tempo, faceva il fattorino e di sera dava una mano in pizzeria. Il 12 giugno 2022 è morto nel corso di un intervento di polizia nel suo appartamento. Squeo era rincasato in tarda serata insieme a un ragazzo conosciuto per strada. Secondo la testimonianza di quest’ultimo, avevano iniziato a consumare cocaina. Dopo la mezzanotte tra i due è scoppiata una lite che ha indotto il coinquilino di Squeo, in un’altra stanza con un’amica, a chiamare la polizia. Alle 2.45 la volante del commissariato di via Mecenate è intervenuta.

Gli agenti hanno detto di aver trovato Squeo in stato di agitazione mentre l’altro ragazzo presentava una piccola ferita in volto. Hanno chiamato i rinforzi e il personale sanitario. Sono così arrivate diverse volanti, per un totale di almeno una dozzina di agenti di polizia. Questi dicono che Squeo brandiva un coltello e perseverava in uno stato di alterazione psicofisica. È stato estratto un taser per avvertimento, poi il ragazzo è stato bloccato e ammanettato in posizione laterale di sicurezza, le caviglie legate dai laccetti in velcro. I sanitari gli hanno somministrato un calmante, il Propofol. Pochi minuti dopo, alle 4.15, è arrivato il primo arresto cardiaco, poi un secondo e un terzo tra il trasporto e il ricovero all’ospedale Policlinico, con il decesso constatato alle 6.45.

Secondo il referto del personale ospedaliero del Policlinico, Squeo è morto per “arresto cardiaco in sospetto abuso di sostanze”. Anche i consulenti nominati dal pm, che hanno eseguito l’autopsia giudiziaria sulla salma, hanno ricondotto il decesso a un’assunzione letale della sostanza stupefacente. Da qui è arrivata la doppia richiesta di archiviazione, che però poggia su basi molto fragili.

Intanto non tornano i tempi. I consulenti del pm dicono che Squeo ha assunto la dose letale di cocaina in un periodo non superiore a 60-90 minuti dal decesso, dunque tra le 5.15 e le 5.45. Un’ipotesi irreale: in quel lasso di tempo era già al secondo arresto cardiaco, e la polizia era arrivata in casa da diverse ore. Poi ci sono incongruenze tra le testimonianze della polizia e quelle dei soccorritori.

Questi smentiscono che il ragazzo fosse tenuto in posizione laterale di sicurezza e parlano invece di posizione prona. “I poliziotti erano in tanti, quindi alcuni lo bloccavano a terra, alcuni con le mani, alcuni con il corpo e altri con il ginocchio”, dice una soccorritrice, che parla di una scena andata avanti per “10-15 minuti”. Un altro punto oscuro riguarda la somministrazione del Propofol, che da linee guida deve essere preceduta dal monitoraggio dei parametri vitali e che può causare depressione cardiorespiratoria. Il monitor in dotazione ai sanitari risulta attivato successivamente alla somministrazione e non prima.

“Quando ho visto il corpo di mio figlio in ospedale era conciato da buttar via, naso rotto, testa rotta, mani rotte, buchi strani, lividi ovunque”, denuncia Franca Pisano, madre di Igor Squeo. Gli agenti nel loro verbale, e in seconda battuta i consulenti del pm, parlano di atti di autolesionismo, con il ragazzo che si lanciava contro i muri e le finestre in uno stato di alterazione che avrebbe poi condotto al decesso. Il cosiddetto “excited delirium”, una condizione medica non riconosciuta e molto criticata secondo cui da agitazione, delirio e aggressività può derivare il decesso. E che puntualmente viene tirata fuori quando si verifica una morte durante un intervento di polizia.

È stato così anche per Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Riccardo Magherini e numerose altre vittime di abusi delle forze dell’ordine. La relazione tecnica dei medici nominati dalla famiglia di Squeo smentisce la versione delle lesioni autoindotte. Le ferite sul capo, così come la frattura del naso, sono riconducibili alla faccia compressa a lungo sul pavimento. Altre lesioni sul corpo rimandano alla pressione effettuata con avambracci e ginocchia per tenere l’uomo schiacciato per terra. Il corpo in generale è viola, ricoperto di lividi e lesioni diffuse impossibili da procurarsi da solo.

A questo si somma la presenza di strani buchi, che, secondo la famiglia, sono riconducibili all’uso del taser. Gli agenti dicono che è stato puntato due volte contro Squeo con i led rossi di avvertimento, l’avvocata Urzini ha chiesto di visionare la scheda di memoria per capire se è stato usato, la relazione della questura di parecchi mesi dopo dice che non è stato possibile verificare perché quel taser era ormai rotto. La conclusione dei medici, nella loro relazione tecnica, è chiara: “Squeo fu mantenuto con forza in posizione prona, con la faccia schiacciata contro il pavimento; detta condizione di immobilizzazione ha interferito con la normale dinamica ventilatoria per impossibilità della gabbia toracica di espandersi adeguatamente; ha creato uno stato di ulteriore stress e paura del soggetto; ha aggravato un disagio respiratorio laddove presente anche la frattura delle ossa nasali”.

Il rinvenimento delle cosiddette petecchie nel sacco pericardico è un’ulteriore prova di uno stato di ipossia, lo stesso che portò alla morte di Aldrovandi. La somministrazione finale del Propofol potrebbe aver dato il colpo di grazia in una situazione già compromessa. Per i medici, insomma, il decesso di Squeo deve essere ascritto a un arresto cardiocircolatorio per insufficienza respiratoria causata dalla contenzione degli agenti di polizia e dalla successiva somministrazione del Propofol. Per il magistrato, Squeo, schiacciato sul pavimento da numerosi agenti per lungo tempo e ricoperto di lesioni e fratture, è invece morto per overdose di cocaina. La famiglia ora farà opposizione alla seconda richiesta di archiviazione. Anche l’associazione A buon diritto presieduta da Luigi Manconi sta seguendo la questione.

 

 

Manconi: “I corpi martoriati? Servono a scoprire le verità nascoste”

 

“Il caso di Igor Squeo ne richiama altri del passato, casi che sembravano chiusi e che invece hanno portato alla luce violenze delle forze dell’ordine”, dice il sociologo di A buon diritto. Al fianco della famiglia Squeo, a sostenere la battaglia per la verità, c’è l’associazione A buon diritto. Il presidente è Luigi Manconi, che a Domani spiega le anomalie della morte di Squeo, che sono sovrapponibili a quelle emerse in tanti altri casi simili.

Le lesioni sul corpo di Igor Squeo aprono diversi interrogativi sul suo decesso. Lei che idea si è fatto al riguardo?

Questa storia richiama vicende del passato, casi che inizialmente sembravano oscuri e suscitavano giusto qualche perplessità fino a che sono venute allo scoperto violenze da parte delle forze dell’ordine. Non ho certezze, ma ritengo che come accadde in casi come quelli di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi le pieghe non visibili di questa vicenda, le contraddizioni, le circostanze non approfondite sono tali da richiedere un ulteriore e più profondo accertamento dei fatti. Sembra invece che si stia andando nella direzione opposta, quella dell’archiviazione. Mi auguro che questo non accada e credo che si possa ancora lavorare per evitarlo.

La famiglia ha deciso di pubblicare le foto del corpo di Igor dopo che per oltre tre anni si è sentita abbandonata dalle istituzioni. Perché è così difficile portare avanti queste battaglie?

La pubblicazione dei volti sfigurati e dei corpi martoriati – nonostante tutto il dolore che provoca nei famigliari e negli amici – è stato un passaggio determinante in passato per far sì che le indagini andassero nella giusta direzione. Ricordo bene quanta fatica e sofferenza costò ai familiari di Cucchi e a quanti li sostenevano la decisione di pubblicare le foto del giovane nell’obitorio. Tutto questo dimostra come sia vischiosa la situazione ambientale, quanto siano diffusi la diffidenza e il sospetto, quanto sia forte la reticenza ogni volta che si è davanti a vittime costituite da persone comuni e a possibili carnefici appartenenti alle forze dell’ordine. Domina tuttora un equivoco letale, ovvero che raggiungere la verità su vicende che vedono coinvolti apparati dello Stato non sia un contributo fondamentale alla trasparenza di questi stessi apparati e alla loro democratizzazione, ma un attentato alla loro compattezza e alla loro reputazione. Accertare la verità sui presunti responsabili di crimini all’interno delle forze dell’ordine è fondamentale per salvare l’onore dei tanti che i crimini non li commettono.

In Italia le morti durante un intervento delle forze dell’ordine sono frequenti. Com’è possibile?

Nel marzo 2014 a Firenze, durante un’operazione dei carabinieri in strada, morì Riccardo Magherini. Questo avvenne a seguito di un fermo effettuato secondo quella modalità che io di recente ho chiamato la “tecnica Floyd”, quella che portò alla morte di George Floyd a Minnesota e di cui oggi stiamo parlando per il caso di Igor Squeo. Due mesi prima della morte di Magherini il comando generale dei Carabinieri aveva inviato una circolare da pubblicare in tutte le caserme italiane dove si sosteneva la necessità di rinunciare a quel tipo di tecnica di fermo perché ritenuta potenzialmente mortale. Il comando generale dei Carabinieri era insomma consapevole di quanto la “tecnica Floyd” fosse pericolosa, anche perché ai tempi erano già morte altre persone in questo modo.

Penso a Riccardo Rasman nel 2006, durante un intervento di polizia in casa sua a Trieste. Una volta che avvenne la morte di Magherini, proprio con la medesima modalità che quella circolare dei Carabinieri chiedeva di evitare, la circolare venne cancellata. Questo segnala bene a quale tipo di contraddizione siano sottoposti gli appartenenti delle forze dell’ordine, scarsamente e malamente preparati anche sotto il profilo tecnico e con una conoscenza parziale degli effetti della loro attività durante le operazioni di fermo.

 

Noury (Amnesty): “La morte di Squeo è sospetta, non può essere archiviata”

 

“Spostare l’attenzione sulla vita delle vittime è utile a chi vuole proteggere presunti comportamenti illegali della polizia”. Ilaria Cucchi ha presentato sul caso un’interrogazione. Franca Pisano, la madre di Igor: “Rendere pubbliche le foto del corpo è stata una decisione dolorosa. Ma dopo oltre tre anni di inerzia da parte delle istituzioni non abbiamo avuto scelta. Spero questo possa aiutarci a ottenere la verità sulla morte di mio figlio. Il silenzio di questi anni e stato assordante”. La vicenda del decesso di Igor Squeo durante un intervento di polizia a Milano, raccontata su Domani, finisce in Parlamento.

Ilaria Cucchi, senatrice di Avs, ha annunciato un’interrogazione urgente ai ministri dell’Interno, della Salute e della Difesa perché facciano chiarezza sui tanti punti oscuri che ancora circondano la morte del 33enne. Anche Amnesty International sta seguendo da vicino la questione, come spiega il portavoce italiano Riccardo Noury.

Noury, che idea si è fatto sulla morte di Igor Squeo durante un intervento di polizia a Milano?

Molte cose non tornano. Ci sono ricostruzioni e testimonianze che si contraddicono, la scheda elettronica de taser che si è rotta e “di conseguenza” è stata distrutta, azioni discutibili sul trattamento sanitario, come la somministrazione di un potente sedativo nonostante il livello di ossigenazione di Squeo fosse sopra il livello di guardia. E ora anche immagini che raccontano una verità diversa da quella delle ferite auto-inflitte. Il tutto pare funzionale a un obiettivo: archiviare. Dunque evitare un dibattimento processuale sull’accertamento di eventuali responsabilità lasciando le famiglie senza una risposta alla domanda: “Perché?”. C’è poi una pericolosa narrazione che accompagna storie come questa e che chiama in causa anche parte dell’informazione. La distinzione tra “vittime buone” e “vittime cattive”, alle quali viene attribuita una responsabilità per la propria morte. Questa distinzione, che nasce nel 2001 con l’uccisione di Carlo Giuliani, sposta l’attenzione sull’operato della vittima e non sul presunto comportamento illegale da parte delle forze di polizia.

Nella ricostruzione dei medici si parla di soffocamento sotto il peso degli agenti. È una storia già vista?

Sì, è la storia di Riccardo Magherini, deceduto a Firenze il 3 marzo 2014 a seguito di una tecnica d’immobilizzazione poi nota al mondo a seguito della morte negli Usa di George Floyd: la famosa manovra di fermo che comprime il torace e produce soffocamento. Quella che, per ricordare un altro caso, ha determinato la morte di Andrea Soldi a Torino, il 5 agosto 2015, per inciso anche destinatario di un Tso del tutto illegale. Dopo la morte di Magherini si era detto che quella manovra sarebbe stata vietata: un anno e mezzo dopo è stata usata contro Soldi, otto anni dopo contro Squeo.

In Italia non ci sono dati ufficiali sulle morti durante fermi di polizia. Perché così poca trasparenza?

Perché c’è un’abitudine a non rendere conto. Al parlamento, all’informazione, all’opinione pubblica. C’è la narrazione delle “vittime cattive”, per cui “qualcosa avranno pur fatto”. C’è, soprattutto da parte di alcuni sindacati di polizia, la stigmatizzazione come “partito dell’antipolizia” di coloro che chiedono unicamente che si accertino le responsabilità di singoli funzionari dello stato, tutelando la reputazione dei corpi di appartenenza. Tutto ciò fa sì, per esempio, che l’Italia sia uno dei pochissimi stati dell’Unione europea a non avere ancora una norma che preveda i codici identificativi per le forze di polizia. Amnesty International ha lanciato questa campagna nel 2011. Da allora, si sono dati il cambio parlamenti e governi di segno diverso ma siamo ancora al punto di partenza.

Come si possono evitare decessi come quelli di Igor Squeo?

Attraverso la formazione delle forze di polizia sugli standard internazionali sull’uso della forza, tecniche di immobilizzazione e taser comprese. A quest’ultimo proposito, dopo i cinque morti del 2025, quattro dei quali nell’ultimo mese e mezzo, viene da chiedersi da cosa dipenda l’aumento del numero delle vittime: dalla maggiore diffusione di queste armi? Dalla errata definizione di “armi non letali” o “meno letali”, che ne favorisce la normalizzazione e un uso più disinvolto?

La famiglia ha deciso di affidare a Domani la pubblicazione delle foto del corpo del ragazzo. Qual è il potere delle immagini in casi come questo?

In un paese dove le istituzioni avessero davvero a cuore la ricerca della verità e della giustizia e dunque fossero accanto ai familiari di vittime di violazioni dei diritti umani, i parenti di queste ultime non dovrebbero mai essere costretti ad arrivare al punto di rendere pubbliche immagini del genere per dare stimolo alle indagini o, come in questo caso, evitare il secondo tentativo di archiviazione. Eppure è successo, più volte, così come è successo che – anche senza diffondere le immagini – le famiglie abbiano dovuto rinunciare al lutto per diventare attiviste per i diritti umani. Si tratta in larghissima parte di sorelle, madri, mogli, ex mogli, figlie e nipoti, che hanno sfidato lo stereotipo della “donna silente e piangente” e sono diventate promotrici di campagne per la verità e la giustizia.

 

Luigi Mastrodonato