Dopo la chiusura del fascicolo bis con una denuncia per diffamazione a carico di Lucia Uva e de Le Iene, la procura di Varese potrebbe indagare altre persone. Nello specifico con atto depositato dall'avvocato Luca Marsico, anche l'autore Adriano Chiarelli e Francesco Menghini il regista del film "Nei secoli Fedele", sarebbero indagati. Nel frattempo la giornalista la giornalista Elisabetta Reguitti denuncia il vergognoso compostamento di 2 carabinieri che se la ridevano quando Giuseppe Uva ormai era già morto. Adriano Chiarelli e Francesco Menghini avrebbero avuto il torto di ricostruire la storia per quello che hanno detto gli atti di un processo e ascoltando sia le parole di Lucia - cui toccò riconoscere il corpo martoriato del fratello - sia quelle di Alberto Biggioggero, l'amico che condivise l'ultima notte di Uva fin dentro il commissariato dove furono condotti dopo l'arresto per schiamazzi o robe del genere. Accadeva nel giugno del 2008. Il pm non l'ha mai ascoltato dirigendo le indagini sui medici che ricevettero Uva dopo un Tso spiccato dal sindaco di Varese all'uscita dell'uomo dal commissariato. Adriano Chiarelli l'autore del film appresa la notizia dichiara: " Apprendo dai giornali locali di Varese che “i carabinieri” coinvolti nella vicenda di Giuseppe Uva avrebbero sporto querela per diffamazione nei confronti del sottoscritto e di Francesco Menghini, rispettivamente autore e regista del docu-film “Nei secoli fedele – il caso di Giuseppe Uva”. La notizia non ci sorprende, vista la piega che stanno prendendo gli eventi. A finire sul banco degli imputati, ancora una volta, saranno coloro che si battono in difesa della giustizia e della legalità, e non i diretti interessati. È accaduto con Patrizia Moretti, sta accadendo con Lucia Uva e di conseguenza con noi. Preciso che il docu-film “Nei secoli Fedele”, altro non è che il resoconto dettagliato di quanto emerso nell’ambito del primo procedimento. Ogni secondo del film è basato rigorosamente sugli atti processuali. Inoltre, questo docu-film ha anche lo scopo di dare voce a una famiglia che da anni chiede la verità sulla morte del loro congiunto Giuseppe Uva. Ciò in sintonia con quanto espresso anche dal giudice in sede di sentenza. Cito testualmente: “Va rimarcato con chiarezza come costituisca un legittimo diritto dei congiunti di Giuseppe Uva – innanzitutto sul piano dei più elementari sentimenti della specie umana – conoscere, dopo quasi quattro anni, se negli accadimenti intervenuti prima dell’ingresso del loro congiunto in Ospedale siano ravvisabili profili di reato; e ciò tenuto conto che permangono ad oggi ignote le ragioni per le quali Uva Giueppe sia stato prelevato e portato in caserma, così come sconosciuti permangono gli accadimenti intervenuti all’interno della stazione dei Carabinieri di Varese.” La risposta tarda ad arrivare. Se i rappresentanti della giustizia intendono perseguire coloro che chiedono la verità , facciano pure. Siamo disponibili fin da subito a essere interrogati e a mettere a disposizione tutto ciò di cui siamo venuti a conoscenza durante la permanenza a Varese" «Giudice censore e intimorito dei media!», aveva tuonato il pm e la risposta della procura di Varese alle sollecitazioni di Muscato è quella di cui scriviamo da alcuni giorni: la denuncia per Lucia e per i giornalisti che l'hanno ascoltata. Il film "Nei secoli fedele", nel frattempo, è stato messo in rete mentre il fascicolo bis insiste nel negare il pestaggio che avvenne quella notte. Angela De Milato, la figlia di Lucia, solidale con Chiarelli e Menghini, ha deciso di denunciare il pm per favoreggiamento e abuso di atti d'ufficio: «Dovrà processare tutta la nostra famiglia per farci tacere - dice - sono stanca delle vessazioni che subisce mia mamma difronte all'indifferenza di tutti coloro che dovrebbero intervenire. Chiedo aiuto a Ilaria Cucchi, perchè ci aiuti e ci rimanga vicino come sta facendo». Il 16 aprile inizierà il processo d'appello nei confronti del medico. Il pm insiste col teorema della colpa medica: «Noi saremo davanti al tribunale di Varese, insieme a Lucia Uva. Perché insieme a lei vogliamo la verità - dicono Patrizia Moretti, Ilaria Cucchi, Domenica Ferrulli - mentre lì dentro il pm dott. Agostino Abate celebrerà il secondo processo ipocrita, inutile, crudele e personalizzato. Tutto pur di non fare quelle indagini, come il giudice gli ha ordinato. Ma al tribunale di Varese si usa far finta di niente. E noi vorremmo tanto sapere il perché».
Sempre a riguardo il caso Uva, la giornalista Elisabetta Reguitti sul suo blog su il Fatto quotidiano denuncia il vergognoso compostamento di 2 carabinieri che se la ridevano quando Giuseppe Uva ormai era già morto.
Ecco il testo dell'articolo: Quando ho sentito questa registrazione telefonica ho pensato al terremoto dell’Aquila. Risate sulla pelle dei morti. Ma quelle dei due carabinieri su Giuseppe Uva, già cadavere, sono precedenti a quelli della protezione civile. Eppure l’unico procedimento avviato non è tanto sulla morte dell’uomo avvenuta a Varese il 14 giugno 2008quanto piuttosto sulla sorella che su Facebook ha insultato quegli uomini che ridevano del fratello che lei ha visto in un obitorio con un pannolone e 78 macchie di sangue a cavallo dei pantaloni. In questo stesso blog Lucia ha scritto il suo appello, il 16 aprile a Varese, ci sarà una manifestazione di protesta per il magistrato, titolare dell’inchiesta che nelle sue conclusioni sul caso Uva ha scritto: “ La conclusione naturale di questa indagine doveva essere quindi la richiesta di archiviazione al competente Giudice, non emergendo ipotesi di reato di responsabilità oltre a quelle per le quali si è già proceduto a carico dei medici…”. Poi ha smentito se stesso poche righe più avanti scrivendo: “Essendo quindi emerse ipotesi di reato a carico delle persone indicate in rubrica non si procede alla richiesta di archiviazione e si formalizza il presente avviso di conclusione delle indagini ai sensi dell’articolo 415bis”. Le registrazioni che abbiamo sentito non sono state messe agli atti. Così come non è stato ascoltato Alberto Biggiogero condotto in caserma insieme all’amico Giuseppe Uva, e che ha sempre raccontato di aver sentito le grida atroci di Uva provenire dalla stanza dove era stato rinchiuso, tanto da chiamare dalla stessa caserma dei Carabinieri di Varese il centralino del 118 per chiedere un intervento. Circostanza che ha trovato piena conferma dalla registrazione della telefonata e dai successivi contatti del 118 con la caserma. La famiglia Uva ha presentato richiesta di avocazione al procuratore Generale della Corte d’Appello di Milano del procedimento penale (5509/09) della procura delle Repubblica di Varese.
E la storia continua… |